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07
Novembre

Passepartout. Nicosia: "Ostentavo un potere che non avevo". Dimino: "Non sono più mafioso"

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Pubblicato in Cronaca

 

 

È stato il Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Sciacca Alberto Davico a interrogare i cinque indagati finiti

nel vortice dell'operazione antimafia denominata “Passepartout”, per la quale la procura della Repubblica di Palermo ritiene di avere assestato un durissimo colpo alla famiglia mafiosa di Sciacca. Il personaggio che più di altri sta facendo discutere, Antonello Nicosia, ha risposto alle domande del magistrato spiegando però che tutto quello da lui detto nelle intercettazioni e acquisito agli atti, oggetto delle accuse di associazione mafiosa, sarebbe stato solo il frutto di sue presunte millanterie e provocazioni. Un modo, insomma, quasi di scherzare, comunque di non dire sul serio, ostentando di fatto un potere di cui, in realtà, Nicosia non disponeva. Nemmeno quando, insieme alla deputata nazionale Pina Occhionero, di cui era portaborse a 50 euro al mese (questo almeno il compenso che la parlamentare ha comunicato ai magistrati palermitani) Antonello Nicosia entrava nei penitenziari preoccupato di accertare che i diritti dei detenuti venissero tutelati mentre invece, secondo la ricostruzione della Direzione Distrettuale Antimafia, incontrava carcerati sottoposti al 41 bis impegnandosi a diffondere i loro messaggi all'esterno, ai mafiosi a piede libero, in particolare a quelli orbitanti nel giro del superboss latitante Matteo Messina Denaro. Ha poi definito “inopportune”, Antonello Nicosia, le sue stesse frasi riferite a Falcone e Borsellino, che in un'intercettazione aveva definito “morti sul lavoro”, minimizzando il loro impegno antimafia, ritenendo sbagliato che l'aeroporto di Palermo fosse intestato a loro. Nicosia ha poi respinto le accuse di essere un associato a Cosa nostra, rispondendo alle domande riguardanti i contenuti delle sue conversazioni col boss Accursio Dimino, riferendo, riguardo al progetto di uccidere l'imprenditore ittico conserviero Cavataio, di essersi limitato ad ascoltare, precisando di non avere mai avuto alcuna intenzione di scappare, chiarendo dal suo punto di vista che nelle altre conversazioni finite nell'ordinanza di fermo disposta dalla magistratura i due parlavano di fatti processuali precedenti e ormai acclarati. Insomma: nulla di nuovo. E, per sua stessa ammissione, Antonello Nicosia sarebbe stato solo uno spaccone, un presuntuoso che cerca con ogni mezzo di mettersi in mostra vantando capacità o qualità inesistenti. Bisognerà capire se gli inquirenti gli crederanno oppure no.

 

Anche Accursio Dimino ha respinto le accuse a suo carico, pur ammettendo di essere stato associato a Cosa nostra, ma di esserne definitivamente uscito sin dal 2016, dopo l'espiazione dell'ultima condanna subita. Ha anche detto, “Matiseddu”, che i rapporti con Antonello Nicosia erano riferiti esclusivamente a questioni di politica carceraria (visto che l'assistente parlamentare dell'onorevole Occhionero di questo si occupava) e della possibilità, visto che colui che viene considerato il capomafia di Sciacca era disoccupato, che Nicosia gli trovasse un impiego da qualche parte. Ad assistere sia Nicosia, sia Dimino, lo stesso legale: l'avvocato Salvatore Pennica. I gemelli Luigi e Paolo Ciaccio, accusati di favoreggiamento aggravato per avere, in qualche maniera, aiutato Nicosia e Dimino, intestandosi le schede telefoniche utilizzate dai personaggi più importanti di questa inchiesta, al momento hanno preferito avvalersi della facoltà di non rispondere. Sono assistiti dagli avvocati Paolo Imbornone e Salvino Barbera. Ha invece risposto alle domande Massimiliano Mandracchia, il commerciante di frutta e verdura accusato di avere agevolato gli incontri al vertice mafioso mettendo a disposizione il suo negozio. Anche lui è accusato di favoreggiamento aggravato, ma ha respinto le accuse. Ha detto, Mandracchia, di non essere stato a conoscenza delle attività mafiose di Dimino, limitandosi a prestargli il suo cellulare per una telefonata ad un cugino in America che poteva dargli un lavoro. In attesa del provvedimento del giudice, che dovrà decidere se trasformare i fermi o meno in custodia cautelare, la DDA di Palermo ha chiesto alla Camera dei Deputati gli atti riferiti al contratto di collaborazione tra l'onorevole Occhionero e Antonello Nicosia. 50 euro al mese di compenso indicano chiaramente che in ballo non c'era certamente una questione economica né tanto meno di gratificazione professionale. I magistrati hanno accertato che Nicosia conservava ancora il tesserino di collaboratore parlamentare. Questo può anche non significare niente, ma è chiaro che la procura non escluda che potesse in qualche maniera continuare ad utilizzarlo, malgrado il rapporto di collaborazione come portaborse dell'onorevole Occhionero si fosse esaurito a maggio.

 

Letto 3541 volte Ultima modifica il Giovedì, 07 Novembre 2019 15:19

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