della CGIL Alfonso Buscemi ringrazia tutti i cittadini che, "con responsabilità e senso civico - dice - hanno partecipato alla consultazione popolare". Fa notare, Buscemi, come colpisca che Agrigento si sia confemata, ancora una volta, l'ultima provincia d'Italia per affluenza alle urne. "Un primato negativo che pesa e che deve interrogarci tutti, dalle istituzioni alle organizzazioni sociali", osserva Buscemi. "Questa bassa partecipazione – prosegue – non è frutto di disinteresse, ma sintomo evidente di una stanchezza diffusa, di una rassegnazione che cresce nei territori più fragili. Le troppe criticità che affliggono la nostra provincia – dalla disoccupazione giovanile all’emigrazione forzata, dalla crisi dei servizi pubblici alla mancanza di prospettive – stanno spegnendo il desiderio di incidere, di contare, di partecipare".
Il responsabile della Cgil parla di "segnale drammatico che va raccolto con serietà". Naturalmente l'organizzazione sindacale precisa che intende rinnovare il proprio impegno quotidiano sul territorio, accanto a lavoratrici, lavoratori, pensionati e giovani, nella convinzione che solo con il coinvolgimento, la solidarietà e la giustizia sociale si possa ricostruire un rapporto di fiducia tra i cittadini e le istituzioni. "Il nostro compito – conclude Buscemi – è quello di trasformare la rassegnazione in partecipazione, la sfiducia in speranza. Agrigento merita molto di più di ciò che oggi riceve."
Il dato referendario definitivo in Sicilia, a partire dall'affluenza alle urne, che era l'elemento centrale di questo referendum visto che bisognava raggiungere il quorum, è stato più basso della media nazionale, assestandosi attorno al 23%, 7 punti percentuali in meno che nel resto d'Italia. Non trascurando il rispetto dovuto a chi alle urne ha deciso di andarci regolarmente, a Sciacca hanno esercitato il loro diritto 7.349 persone. Per quello che può valere, il risultato finale per i primi quattro quesiti sul lavoro, ha visto prevalere piuttosto nettamente i Sì con una forbice compresa tra l'88,6% e il 91,6%.
Le norme per le quali si chiedeva l'abolizione riguardavano quelle sul jobs act, in particolare sul diritto al reintegro (e dunque non solo all'indennizzo) in caso di licenziamento illegittimo, l'abolizione del tetto massimo all'indennità per i licenziamenti illegittimi, la revisione delle norme che disciplinano i contratti a tempo determinato e l'estensione della responsabilità per eventuali incidenti sul lavoro anche all'impresa che ha devoluto un'opera che si è aggiudicata in subappalto.
Un po' meno netta invece la vittoria dei Sì per l'ultimo quesito, quello sulla riduzione da 10 a 5 anni del periodo necessario prima che si possa acquisire la cittadinanza italiana. Ebbene: in questo caso a dire sì per l'abolizione di questa norma a Sciacca è stato il 65% di chi è andato alle urne, mentre il restante 35% non è d'accordo. Un dato che, pur indicando un orientamento teoricamente maggioritario, indica lo stesso comunque una percentuale tutt'altro che bassa da parte di chi, invece, sul rapporto con gli stranieri e sul tema dell'integrazione continua a pensarla piuttosto diversamente, rimanendo piuttosto lontano dall'approvazione del riconoscimento di diritti che sembrerebbero basilari. Insomma, un po' per la serie "non sono razzista ma", dove dopo il ma c'è sempre qualche considerazione diversa, conquistare la cittadinanza per chi è straniero ma che vive e lavora in Italia, e spesso parla l'italiano assai meglio di chi gli dice che non ha il diritto a vedersi riconoscere la cittadinanza un po' più tempestivamente questo diritto, continua ad essere un elemento discriminatorio, che sicuramente induce a tenere accesi i riflettori sul tema.