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24
Gennaio

Messina Denaro. Per i magistrati Bonafede era "uomo d'onore riservato"

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Pubblicato in Cronaca

Altro che semplice prestanome (e già sarebbe stato grave solo questo):

per i magistrati Andrea Bonafede per il superboss latitante era molto di più, avendogli fornito un apporto di non certo secondaria importanza per mantenere la sua latitanza ma soprattutto, anche mediante la sua presenza nel territorio, di continuare ad esercitare il ruolo direttivo nell'organizzazione mafiosa. E così, una settimana dopo l'arresto di Matteo Messina Denaro, ieri sera i carabinieri del Ros sono andati a Tre Fontane a prendere anche il geometra cinquantanovenne diventato famoso per essere stato colui che ha dato nome e identità al capomafia, cedendogli la sua carta d'identità (quella emessa dal comune di Campobello di Mazara). Un documento ancora di quelli in formato cartaceo, a cui Bonafede ha permesso che Messina Denaro sostituisse la fotografia. Documento d'identità che ha permesso al boss di essere accettato all'ospedale Abele Ajello di Mazara, dove nel 2020 fu operato. Ma Bonafede si era messo a disposizione della ex primula rossa di Cosa nostra anche per permettergli, a suo nome, di avere una carta di credito, di acquistargli un appartamento e due autovetture, una Fiat 500 e la Giulietta sequestrata nei giorni scorsi, veicoli intestati alla anziana madre del geometra.

Accogliendo la richiesta d'arresto avanzata la Pm Andrea Padova della Dda di Palermo, per il Gip Alfredo Montalto il geometra Bonafede è un bugiardo, essendo stato una persona pienamente inserita in Cosa nostra, o meglio ancora, così come lo ha definito il giudice nella sua ordinanza di arresto, un uomo d'onore a tutti gli effetti, ancorché "affiliato alla mafia in maniera verosimilmente riservata". In particolare, non poteva essere credibile, secondo i magistrati, che il latitante notoriamente più pericoloso e più ricercato d’Italia, che pure, come dimostrato dalle innumerevoli indagini di questi anni finalizzate alla sua cattura, ha potuto sempre disporre di un’attentissima ed ampia cerchia di soggetti che gli hanno consentito di proseguire la sua latitanza e nel contempo le sua attività di direzione dell’associazione mafiosa Cosa nostra quanto meno nell’intera provincia di Trapani, si sia ad un certo momento affidato ad un soggetto occasionalmente incontrato, non affiliato e che non vedeva da moltissimi anni, per coprire la sua identità, soprattutto nel momento in cui aveva necessità di entrare in contatto con strutture pubbliche sanitarie (con conseguente elevato rischio di essere individuato come in effetti è poi avvenuto il 16 gennaio 2023), oltre che per acquistare l'immobile ove per un periodo di almeno sei mesi e fino all’arresto ha poi dimorato». Quindi la procura non crede alla versione di Bonafede, che ha detto di avere incontrato Messina Denaro solo pochi mesi fa. 

Intanto, su un altro fronte dell'inchiesta legata all'arresto del superboss, è stato sentito dagli inquirenti il titolare della concessionaria di Palermo dalla quale il boss Matteo Messina Denaro, un anno fa, comprò la Giulietta con la quale si spostava abitualmente durante la latitanza. Il commerciante, viste le foto del capomafia sui media e riconosciuto il volto dell'acquirente, ha confermato che la macchina fu acquistata personalmente dal padrino, e non in contanti ma con pagamenti tracciabili, quindi evidentemente con assegno o bonifico. Auto che, come detto, sarebbe poi stata intestata alla madre di Bonafede. Nel frattempo prosegue, a Campobello di Mazara, la caccia ad altri possibili bunker segreti del boss. I carabinieri, attraverso l'utilizzo di georadar, stanno scandagliando diverse abitazioni del paese tra le quali quelle di Antonio Luppino, figlio di Giovanni, l'insospettabile che, lunedì 16 gennaio ha accompagnato in auto il capomafia alla clinica in cui, poi, entrambi sono stati arrestati. In un'area all'aperto adibita a parcheggio di proprietà di Luppino era nascosta la Giulietta usata dal capomafia per i suoi spostamenti e ritrovata dalla polizia. Il figlio dell'autista del boss, già sentito dagli inquirenti, non sarebbe indagato, e ha detto di credere alla versione del padre, il quale agli inquirenti ha detto di non sapere che colui che accompagnava in clinica fosse Matteo Messina Denaro.

E mentre continuano gli interrogatori di persone che si ritiene possano avere favorito la latitanza di Messina Denaro (sotto i riflettori anche gli affiliati alle logge massoniche trapanesi, sia di quelle regolari che di quelle che si considerano deviate al servizio della mafia), continua la lotta serrata della procura di Palermo diretta da Maurizio De Lucia nei confronti di cosa nostra. I carabinieri del Nucleo investigativo di Palermo hanno arrestato 7 persone con le accuse di associazione mafiosa ed estorsione aggravata. Sotto la lente d'ingrandimento degli inquirenti è finita in particolare la 'famiglia' mafiosa di Rocca Mezzomorreale e i suoi vertici, già condannati in via definitiva e tornati liberi dopo aver scontato la pena. In cella sono finiti anche uomini d'onore riservati, sfuggiti finora alle indagini, che sarebbero stati chiamati in azione solo in momenti di criticità per la cosca. Per 5 indagati è stato disposto il carcere, per due i domiciliari. L'operazione, condotta tra Riesi, nel nisseno, e Rimini, ha consentito di smantellare la famiglia mafiosa considerata "costola" del mandamento palermitano di Pagliarelli, ed ha confermato, ancora una volta, le storiche figure di vertice, già in passato protagoniste di episodi rilevantissimi per la vita dell'associazione mafiosa, come la gestione del viaggio a Marsiglia del boss Bernardo Provenzano per sottoporsi a cure mediche o la tenuta dei contatti con l'ex latitante trapanese Matteo Messina Denaro. Le indagini hanno anche sventato l'omicidio di un architetto che, secondo i boss, aveva commesso alcune mancanze verso il clan.

Letto 311 volte Ultima modifica il Martedì, 24 Gennaio 2023 11:41

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