sotto il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo che ha impegnato oltre 200 militari dell’arma, dello Squadrone Cacciatori, dei nuclei cinofili ed elicotteri. Operazione messa a segno tra Palma di Montechiaro e Favara che ha portato a 12 arresti e 23 avvisi di garanzia per associazione a delinquere di stampo mafioso.
L’accusa per gli indagati è quella di essersi avvalsi della forza di intimidazione del vincolo associativo e delle condizioni di assoggettamento ed omertà che ne derivano per commettere gravi delitti, acquisire la gestione o il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, di appalti e servizi pubblici e procurare voti eleggendo propri rappresentanti in occasione delle consultazioni elettorali. Tra gli arrestati anche un consigliere comunale, Salvatore Montalto, eletto nel giugno del 2017 con 413 preferenze. Non solo la politica locale, le famiglie mafiose destinatarie dei provvedimenti odierni avrebbero anche offerto sostegno elettorale, a sua insaputa hanno precisato gli inquirenti, al parlamentare regionale Carmelo Pullara con l’aspettativa di poter ricevere in futuro dei favori. Voti dei quali il deputato di Licata non aveva contezza e, infatti, non è indagato nell’ambito dell’operazione antimafia messa a segno stamattina. Sono dispiaciuto di essere finito nuovamente nel tritacarne mediatico, come è già successo anche in passato, nonostante nessuna condotta illecita sia mai stata da me posta in essere, ha commentato Carmelo Pullara. Forse, ha aggiunto, pago lo scotto di una ingenuità e carenza di conoscenze, direi per fortuna, derivanti da una cultura ed educazione familiare improntata ai sani principi a partire da quello del lavoro che non consente la conoscenza di un sottobosco di tale fattispecie. Non di secondaria importanza, ha concluso il deputato, ragionando per assurdo e rispondendo preventivamente ad azioni di sciacallaggio e di delegittimazione, appare necessario evidenziare come al netto dei voti di Palma di Montechiaro sarei comunque risultato democraticamente il primo degli eletti.
Teatro dell’indagine, sfociata oggi nei provvedimenti restrittivi, è stata Palma di Montechiaro e la locale consorteria mafiosa organizzata e federata sul modello delle formazioni stiddare (che proprio in Palma di Montechiaro ebbero uno dei centri di maggiore presa e propulsione), ma nella rinnovata veste dei vecchi paracchi (gruppi criminali antesignani della stessa Stidda), tra i quali è emerso quello dei Pace, intesi “Cucciuvì”. In particolare, sono rispuntati quegli uomini già collegati ai gruppi storici di Calafato e Benvenuto, attraverso il capo stipite Domenico Pace, 80 anni, con l’intero paracco, ormai solido, e con una storia alle spalle che parte dalla seconda metà degli anni ’90, ora gestito dal nipote Rosario Pace di 61 anni.
Proprio il cugino di Rosario Pace, Domenico, si rese responsabile, il 21 settembre del 1990, dell’efferato omicidio del Giudice Rosario Livatino. L’operazione antimafia ha fatto luce anche sulla famiglia mafiosa di Favara e sul ruolo cardine svolto da Giuseppe Blando di 57 anni, anello di raccordo tra cosa nostra palermitana e gli stiddari di Palma di Montechiaro, nel traffico di grosse quantità di sostanze stupefacenti: cocaina, eroina e hashish. Già tratto in arresto nel corso dell’operazione “Montagna” del gennaio 2018, è fratello del più noto Domenico Blando, arrestato nel maggio del 1996 assieme alla moglie, entrambi favoreggiatori della latitanza di Giovanni Brusca fino al suo arresto ad Agrigento il 20 maggio del 1996.
Oltre alla droga, l’organizzazione mafiosa dei Pace si occupava di attività estorsive, nei confronti di imprese edili soprattutto, ma anche di minacce agli appartenenti alla polizia municipale, rapine e persino servizi funebri.
Nel corso delle perquisizioni effettuate stamattina sono stati sequestrati anche 70 mila euro.