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20
Maggio

Trent'anni dalle stragi, tra dovere della memoria e fatti rimasti oscuri

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Pubblicato in Cronaca

La presenza a Sciacca oggi del presidente della commissione regionale Antimafia

Claudio Fava, in una iniziativa pubblica organizzata dalla Fidapa in programma presso l'atrio superiore del comune, è uno dei tanti momenti di riflessione e di incontro che si stanno promuovendo in tutta Italia nell'ambito della commemorazione dei 30 anni dalle stragi di Capaci e via D'Amelio. Oggi Fidapa annuncia che tra le prossime iniziative ci sarà anche la donazione al comune di Sciacca di 30 arbusti, uno per ogni anno trascorso dal 1992, da piantumare per onorare le vittime, in quello che negli intenti dovrà diventare un giardino della memoria dei caduti. 

Questo trentesimo anniversario, accanto al dovere collettivo del ricordo, sta inevitabilmente rilanciando nel dibattito questioni mai del tutto risolte, a partire dal clima nel quale i magistrati uccisi, simboli della svolta nel rapporto tra lo Stato e Cosa nostra attraverso quello che fu il maxiprocesso, si trovarono ad operare. Il sacrificio estremo di quei servitori dello Stato non fu ingoiato solo nei crateri dell'autostrada Palermo-Punta Raisi e nella strada-budello vicino la Fiera del Mediterraneo. Non può essere dimenticato l'isolamento clamoroso, a partire dall'interno della stessa categoria professionale dei magistrati che caratterizzò gli anni di lotta che i due giudici condussero. Oggi come trent'anni fa i sedicenti "amici" di Falcone e Borsellino stanno tornando a spuntare come funghi. Ma Falcone fu colui a cui il CSM impedì di diventare capo dell'ufficio istruzione dopo il tritolo che uccise Rocco Chinnici, così come qualcuno teorizzò che la bomba inesplosa sullo scoglio dell'Addaura, vicino la sua villa, Falcone se la fosse piazzata da solo per mania di protagonismo. Belle le parole di circostanza, ma la storia non si può cancellare. Ecco perché il quadro di quel periodo è tuttora decisamente a tinte fosche. È anche su questo tema che si sono soffermati, durante il dibattito che trasmetteremo da domani sulla nostra emittente, i giornalisti Attilio Bolzoni e Bianca Stancanelli. 

Dunque la memoria va salvaguardata, e i giovani devono conoscere quelli che nel 1992 furono 2 dei diversi "11 settembre" della storia italiana. Tanto più che quei giovani all'epoca non erano ancora nati. Devono anche conoscere la differenza tra l'Antimafia parolaia (quella preconizzata da Leonardo Sciascia nel suo fondo sul Corriere della Sera nel 1987) e quella dei fatti concreti, che scaturisce dalla correttezza dei comportamenti di ogni giorno, a partire dal rispetto delle regole comuni. Giovane, giovanissima era anche la partannese Rita Atria, un'altra delle vittime del '92. Nel 1991 Rita aveva solo 17 anni, frequentava l'Istituto Alberghiero di Sciacca, e raggiungeva Sciacca tutte le mattine per andare a scuola. Una mattina non andò a scuola, ma si recò dritta al palazzo di giustizia. Riuscì a farsi ricevere da un agente della polizia giudiziaria. Disse di sé, del padre e del fratello mafioso, entrambi uccisi, annunciò di volere condividere l'impegno della cognata Piera Aiello di denunciare gli assassini di suo fratello. Fu messa in contatto con Paolo Borsellino, a cui fece le sue rivelazioni, identificando quel magistrato come quel padre che per tante ragioni avrebbe preferito rispetto a quello naturale. E fu una settimana dopo l'esplosione di via D'Amelio che Rita si vide perduta, facendola finita. È anche nella tenerissima disperazione di Rita Atria che il trentennale delle stragi ha ragione di essere commemorato. 

Letto 446 volte Ultima modifica il Venerdì, 20 Maggio 2022 13:50

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