nel concreto rischia di far ripartire la macchina da zero.
Il dottor Santonocito è un funzionario, e come tutti i funzionari si adatta alle disposizioni che provengono dalla politica, a cui gerarchicamente spetta il compito di spostare i manager.
Nel prendere atto, non nascondendole, di criticità che, purtroppo, questo territorio conosce fin troppo bene, il nuovo direttore generale non ha potuto far altro, più o meno tra le righe, di associare, ad una encomiabile dichiarazione d'intenti, una sostanziale richiesta di tempo per poter prendere possesso del suo ufficio e soprattutto capire bene la realtà dei fatti.
L'incontro con i sindaci del comprensorio non è apparso incoraggiante, soprattutto per l'assenza dei rappresentanti di troppi comuni. Onore a chi c'era, naturalmente, ma queste cose rappresentano un pessimo segnale, soprattutto se poi i sindaci si lamentano e protestano. È in questo contesto che si cala quasi alla perfezione il ruolo ormai indispensabile del Comitato Civico per la Sanità, la cui forza consiste proprio nella capacità di superare i confini dei rapporti istituzionali tra enti riuscendo, nel rispetto dei ruoli, a rappresentare il vero sentire comune. È, questa, una delle ragioni per le quali l'incontro in programma il 12 febbraio tra i vertici del Comitato e il manager Santonocito potrebbe essere maggiormente rivelatore rispetto alle intenzioni di un management alle prese con quella che è possibile considerare, per gli storici orientamenti agrigentocentrici, una sorta di “patata bollente”. Sì, perché dopo il riconoscimento di ospedale Spoke (o Dea di primo livello che dir si voglia), il Giovanni Paolo II (riunito col Fratelli Parlapiano di Ribera) e il San Giovanni di Dio sono la stessa cosa. E questo pone fine in maniera netta alla differenza tra comune capoluogo e non. Ne consegue che, sia in termini di disponibilità di personale sanitario e di posti letto, sia di distribuzione delle risorse economiche, non potranno più essere accettate disparità di trattamento o privilegi vari. Un tema delicato, perché non si può negare certo che la sanità pubblica (e non certo solo in provincia di Agrigento, s'intende) sia stata fino ad oggi alimentata dalla politica. E se Sciacca ha ottenuto un riconoscimento doveroso (ancorché al momento solo teorico e sulla carta), è stato sicuramente grazie ad un lavoro importante che ha visto condividere la stessa battaglia comune e comitato civico per la Sanità.
Una città che non può più tollerare i problemi organizzativi e gestionali di un ospedale che, peraltro, continua a segnare il passo, soprattutto a livello di front-office, dove l'area di emergenza continua ad essere un girone dantesco, con pazienti accatastati in corridoio in attesa di un consulto che i pochissimi medici e infermieri di turno non possono garantire. Non si può negare che il precedente commissario straordinario Gervasio Venuti avesse compiuto importanti passi avanti nel riconoscimento di una dignità superiore ad un territorio, quello di Sciacca, troppo lontano da Agrigento, sia geograficamente, sia dal punto di vista delle vie di comunicazione. Lo ha fatto grazie ad una rete ospedaliera che aveva inserito gli ospedali di Sciacca e Ribera nell'ambito di una classificazione più importante, anche se bisogna risolvere una volta per tutte il problema di due ospedali che rischiano di essere sostanzialmente delle fotocopie. Oggi si ricomincia con Santonocito. Il punto è che indietro non si può più tornare. Anche perché, per fortuna, la consapevolezza della gente è un po' più significativa rispetto al passato.