Lo sospettano gli inquirenti che, nel covo di vicolo San Vito, a Campobello di Mazara, tra le carte del capomafia hanno trovato documenti di identità contraffatti coi nomi e i dati di persone realmente esistenti. Non è ancora chiaro se i documenti siano stati contraffatti dallo stesso capomafia o se qualcuno glieli abbia forniti precompilati e lui abbia soltanto apposto la sua foto. Diverse peraltro sono le foto tessera trovate al padrino di Castelvetrano. Insomma: non solo Andrea Bonafede avrebbe ceduto la propria identità alla ex primula rossa di cosa nostra, adesso detenuto nel carcere di massima sicurezza de L'Aquila. Prima di assumere l'identità del geometra cinquantanovenne, finito anche lui in carcere nei giorni scorsi, identità utilizzata a partire almeno dal 2020 quando fu operato di cancro all'ospedale di Mazara del Vallo e utilizzò il codice fiscale e la carta di identità del suo complice, il boss avrebbe dunque fatto uso dei documenti di altre persone. E con le generalità di altri favoreggiatori avrebbe viaggiato e concluso affari. Piste che gli inquirenti, che stanno tentando di andare a ritroso per ricostruite la latitanza del capomafia, ora approfondiranno.
L'arresto di Matteo Messina Denaro è stato anche tra i temi affrontati dal presidente della Corte d'appello di Palermo Matteo Frasca durante la sua relazione all'apertura dell'anno giudiziario. "Un arresto che - per il magistrato - assesta un colpo decisivo alla componente stragista della mafia e apre scenari inesplorati". Il testo della relazione è stato pubblicato nel sito web della Corte. Come è già accaduto con altre figure del vertice mafioso, la fine della latitanza del boss costituisce senza dubbio, secondo Frasca, "un momento di grande importanza sia perché probabilmente completa la lunga e difficile operazione di smantellamento della componente stragista dell'organizzazione, sia perché apre prospettive investigative potenzialmente straordinarie che l'azione corale delle istituzioni potrà valorizzare in direzione di ambiti diversi da quelli strettamente connessi con il latitante".
Un passaggio della relazione coglie il senso delle reazioni suscitate dall'arresto di Messina Denaro ma anche il rischio di un facile trionfalismo. "Scaldano il cuore - si legge nel documento - le manifestazioni di giubilo di quei cittadini che hanno espresso soddisfazione e apprezzamento per l'operato dei carabinieri, così come fanno ben sperare le iniziative, soprattutto di giovani e di bambini, che, esternando pubblicamente e gioiosamente la netta presa di distanza da Cosa nostra, ripongono consapevole speranza che anche queste operazioni contribuiscano ad arrivare alla verità sui misteri ancora non risolti di questo Paese". "Raggiungere la verità - aggiunge Frasca - è un diritto dei familiari delle vittime e della comunità ed è un dovere delle Istituzioni. Peraltro, è triste constatare che, accanto a queste manifestazioni che richiamano il 'fresco profumo di libertà' di cui parlava Paolo Borsellino, persistano ancora sacche più o meno ampie di indifferenza e disinteresse, se non quando di dissenso, che impongono di non indulgere a facili e pericolosi trionfalismi. La inquietante rete di protezione a diversi livelli di cui ha beneficiato il latitante, senza la quale non avrebbe potuto sottrarsi per così lungo tempo alla cattura, pone - avverte Frasca - seri interrogativi e apre scenari per certi versi inesplorati sul grado di penetrazione di Cosa nostra nel tessuto sociale e istituzionale".
Durante l'apertura dell'anno giudiziario si è parlato anche di legislazione antimafia italiana, definita da Frasca "un modello anche per altri paesi, consentendo di promuovere una lotta efficace a Cosa nostra. Norme antimafia - ha aggiunto il presidente Frasca - frutto "dell'impegno e del sacrificio, anche estremo, di tanti esponenti delle istituzioni e che vanno mantenute in tutta la loro consistenza e in ogni componente, senza arretramenti di sorta e ancor meno senza indulgere alla pericolosa e miope convinzione di essere al traguardo, ma l'Italia deve avere l'orgoglio e la forza di essere trainante per altri Stati che si rivolgono a noi con ammirazione e interesse". Per il presidente della Corte d'appello "consolidare ed esportare oltre confine le risalenti acquisizioni normative in materia di contrasto alla mafia deve essere un impegno irrinunciabile, nella consapevolezza che anche la criminalità organizzata ha varcato i confini degli Stati e si muove a livello tentacolare cercando di sfruttare contesti territoriali extranazionali meno attrezzati del nostro". La strada è ancora "molto lunga e impervia e soprattutto non può basarsi solo sulla repressione", sostiene il presidente Fasca, su quella "distaccata opera di repressione", che Paolo Borsellino riteneva insufficiente. Per questo è importante, se non decisiva, la "rimozione delle condizioni sociali ed economiche sulle quali prospera la criminalità organizzata di tipo mafioso e a questo processo di liberazione e di crescita democratica devono concorrere la comunità e tutte le Istituzioni con un'azione corale e sinergica". Richiamando i moniti del presidente Sergio Mattarella ("La Costituzione nostra bussola"), Frasca sostiene che alla magistratura compete non solo l'accertamento dei reati ma anche la garanzia della "effettività dei diritti, iniziando da quelli sociali che trovano riconoscimento innanzitutto nella Costituzione".
Non è mancato infine, un riferimento al tema delle intercettazioni. "Contro i mafiosi - ha detto Frasca - occorrono intercettazioni più efficaci". Come è noto hanno fatto discutere le parole del ministro Nordio, per il quale i mafiosi non parlerebbero al telefono dei loro intenti criminali. Ma il presidente della corte d'appello ha risposto: "Questo può essere vero solo con riferimento alle tradizionali forme di comunicazione telefonica, e peraltro neanche in modo assoluto come dimostrato da alcune vicende processuali. Ma i criminali ricorrono a modalità sempre più sofisticate di comunicazione per intercettare le quali è indispensabile fare ricorso alla tecnologia, la cui inevitabile invasività è bilanciata dai rigorosi limiti di ammissibilità di ricorso alle intercettazioni e dalle cautele imposte in diversi momenti dalla normativa vigente che probabilmente costituisce il punto di equilibrio più avanzato tra efficienza e garanzia".
All'inaugurazione dell'anno giudiziario di Palermo ha voluto prendere parte anche il neo vicepresidente del Csm Fabio Pinelli, il quale nel ringraziare i magistrati impegnati nella cattura di Messina Denaro ha detto che "dobbiamo essere consapevoli che la fiducia del Paese nel lavoro che i magistrati svolgono in nome del popolo italiano dipende dalla credibilità che essi si costruiscono attraverso l'impegno costante nell'esercizio indipendente, autonomo, imparziale della giurisdizione. La legittimazione della magistratura si fonda sulla sua professionalità, una professionalità che non significa solo freddo e asettico possesso delle competenze tecnico-giuridiche adeguate alla soluzione delle questioni che sono loro sottoposte, ma che significa anche capacità di mantenere equilibrio e riserbo in tutti i comportamenti, dentro e fuori dall'esercizio delle funzioni". Pinelli ha poi auspicato il raggiungimento dell'obiettivo della ricostruzione del rapporto di fiducia tra magistratura e cittadini, che passa necessariamente - ha aggiunto - dalla capacità della magistratura di mostrarsi credibile.